Chiamare Milano Marittima “MiMa” è diventata un’abitudine che riflette più una posa che un’affezione alla località.
Il giorno dopo la morte del principe Filippo Mountbatten, era il mio compleanno e fra messaggi e chiamate, qualcuno si è ricordato come il mio bis bis bisnonno, re Edoardo terzo, fosse stato il primo a portare coi figli il cognome Windsord. Mentre ad una mia cara amica, anche lei appartenente alla vecchia aristocrazia di Milano Marittima, ho chiesto con curiosità se i suoi tre nipoti nati a Londra e cugini proprio dei Mountbatten (spesso nelle feste più mondane fotografati coi royals) sarebbero stati invitati al funerale dell’illustre parente. Poi abbiamo parlato su quale fosse il chiosco di piadina che fa meglio il nostro crescione prediletto, zucca e patate.
Dopodiché sono uscito e una mia storica vicina, di famiglia di industriali noti da 70 anni a livello internazionale, mi ha omaggiato di un cartone di uova fresche delle sue galline pret a manger… Tutto ciò per dire che la vera e vecchia élite di Milano Marittima non era e non è, perlomeno lo scampolo che ne resta, affatto quella che qualcuno potrebbe pensare, specie se rapportata ai nuovi ricchi o sedicenti tali che oggi si credono di farne parte.
E LA CHIAMANO MIMA
Come disse tempo fa un vecchio viveur “era tutto naturale, familiare ed elegante allo stesso tempo” (Carlino 15.8.2014). Un atmosfera difficile da far comprendere oggi, specie a chi pensa che essere élite di Milano Marittima sia assumere certi atteggiamenti boriosi e certi linguaggi ridicoli… come chiamarla MiMa. Io ed altri inorridiamo ogni volta che la udiamo o leggiamo.
A maggior ragione da quando MiMa è diventato addirittura un brand, un logo, che si trova sempre più spesso nelle insegne delle più svariate attività commerciali, in maniera inflazionata, come se l’acronimo fosse più importante del vero nome dell’attività e facesse chissà quale plusvalore.
Il peggio è che hanno pure scritto che siamo noi a chiamarla così, quando non ci è mai passata per l’anticamera del cervello una simile boiata e, a dirla tutta, cafonata. Si, perché questo acronimo lezioso, che sa tanto di finta finezza piccolo borghese, vorrebbe essere quello che poi non rappresenta neanche. Vorrebbe essere la spia di un amore per la località che in realtà non c’è, il sigillo ad una autocertificazione di habitué, una mascherata vanteria, quando ormai nulla più esiste dell’epoca ruggente finita da circa 30 anni.
E poi perché non si può amare quello che non si conosce, perché questa gente non conosce la vera Milano Marittima, la sua storia, la sua gente, ma solo quei quattro locali, quei quattro posti, pardon location, bagni o baretti perlopiù, dove fare la commedia credendosi dei vip solo per il fatto di essere lì. Vorrebbe essere un modo gergale distintivo di chi si vuol far credere, ma solo per autoconvincimento, membro della creme della movida che in realtà è solo casinificio, tutt’altro che esclusivo, vip, glamour e fashion.
Vorrebbe essere un nomignolo come quelli che si danno ai vecchi amici che si conoscono da sempre, coi quali si ha una speciale intimità, specie dall’infanzia, quando sappiamo che il 99% della gente che frequenta Milano Marittima, invece, è alla sua prima esperienza e non appartiene alla ormai estinta razza di chi viene da generazioni.
Insomma, quel ridicolo modo di parlare dei veri poveri finti signori come nel film di Toto’ “Miseria e Nobiltà”, o della Magnani “Abbasso la ricchezza”, dove cercano di usare una certa fraseologia in nome del non facciamoci riconoscere e invece ottengono proprio l’effetto contrario, li riconosci subito. C’è una bella differenza fra essere chic ed essere leziosi e ridicoli.
Il Conte Ottavio Ausiello-Mazzi