La salina alla mattina bisogna lasciarla in pace! Così esordisce Eros Marzelli, Vice Presidente dell’Associazione della Civiltà Salinara, quando gli chiediamo com’è la la vita di un salinaro come lui. Ci spiega, infatti, che il sale inizia a precipitare quando c’è il sole a picco, a mezzogiorno e che bisogna sempre considerare le condizioni atmosferiche perché “se non sai gestire la salina quando c’è il libeccio, non raccogli molto sale” e poi ancora “se piove molto, prima bisogna pulirla la salina”.
Eros paragona il lavoro del salinaro al gioco delle carte, dove ogni partita è diversa dall’altra e ogni giocatore ha il suo modo di “vivere la partita” e di “smazzare”: c’è chi gioca per passatempo e chi è talmente bravo che riesce a capire anche le carte degli avversari. Capiamo che il salinaro è un lavoro che si fa per passione e che lo si acquisisce con l’esperienza sul campo… anzi in salina. “E’ più facile che un salinaro declassi una salina, portandola ad una categoria inferiore anziché a quella superiore!” dice Eros. Ci spiega che le categorie delle saline erano tre, ed il sale veniva pagato ad un prezzo in base alla categoria della salina; di conseguenza la salina di prima oltre ad una quantità di sale superiore alla seconda, era più remunerativa ed il salinaro guadagnava di più anche se la fatica era tanta, perché la salina era più grande e il salinaro più anziano. L’inizio della stagione salifera è in Aprile con la preparazione del fondo dei bacini saliferi: qui sta la bravura del salinaro che deve saperla temprare portando l’acqua del bacino ad una salinità di circa 18 gradi Boumè, acqua che poi verrà tolta, lasciando asciugare il fondo dei bacini per 5 o 6 giorni.
Successivamente si livella il terreno con un rullo in legno e dai bacini superiori, chiamati i servitori, si mette l’acqua che sicuramente avrà raggiunto una gradazione di circa 20 gradi: da questo momento la salina inizia a produrre il sale e se il salinaro ha preparato bene la salina, anche in caso di una campagna salifera lunga e ventosa con molto libeccio, questa non si ammalerà, il fondo sarà sempre duro e il sale sarà di ottima qualità bianchissimo e soprattutto non amarognolo. “Se queste cose non le sai” spiega “la salina la ammazzi!”. I salinari hanno a disposizione al massimo 90 giorni per cavare il sale, anche se quasi mai si arriva allo scadere dei tre mesi: al massimo due volte nella vita ti può capitare, ricorda Eros, e nel 2012 ci siamo quasi arrivati!.
Eros arriva in salina alle 14.00 e lì lo aspettano il cugino e i cavatori che sbuffano perché gli rimproverano sempre di essere in ritardo (ma una capatina al bar è sacrosanta dice). Il lavoro del pomeriggio inizia nello spingere il sale e a metterlo da parte, a raccoglierlo e a porlo nel carriolo “con i manici lunghi”: sapete perché i manici sono rigidi? Ci chiede Eros e noi francamente non ne abbiamo un’idea. Ci consola dicendo che non lo sa nessuno e ci dice che il carriolo con i manici rigidi è più semplice da condurre perché devi solo spingere e veniva usato dai salinari alle prime armi. Solo quando il salinaro acquisiva più esperienza poteva usare il carriolo con i manici più morbidi e lunghi.
Una volta che il sale viene cavato, rimane la posta, cioè il sale rimane attaccato al fondo: si deve quindi spostare, dividerlo per tutta la salina e iniziare a contornare le acque (ma attenzione al tempo: se le piogge sono state abbondanti bisogna prima pulire). Siamo talmente presi che l’unica domanda che ci viene in mente sicuramente Eros l’avrà sentita un miliardo di volte, ma anche a noi non manca di rispondere con gentilezza e dovizia di particolari: perché il nostro sale è così diverso dagli altri? Perché è così buono? Perché il nostro è il sale “dei cinque giorni”, controllato a mano dai salinari; quando l’acqua raggiunge i 27,5 ° / 28° la si butta via e ogni volta che si cava il sale ci si mette di nuovo l’acqua che deve aggirarsi come temperatura tra i 26 e i 28 gradi.
Adottando questa tecnica il potassio non precipita, c’è cloruro di sodio puro e il sale ha un bel colore bianco cristallino acquisendo il sapore dolce che lo contraddistingue dagli altri. Ne parla davvero con fierezza della “sua” salina e come dargli torto considerato che la salina Camillone è al posto n.44 della classifica dei 101 posti insoliti da visitare almeno una volta nella vita!
Prima di salutarci Eros ci spiega cos’è il salfiore, ovvero la pregiata crosta finissima che si fa sulla salina quando tira il vento (lui la chiama “la panna” del sale), che la salina Camillone è presidio Slow Food (e non potrebbe essere diversamente, ci viene da pensare), e che le donne un tempo erano le cavatrici migliori: infatti, dopo aver finito di cavare, buttavano il sale nel cumulo e tornavano per curare le faccende di casa. Ricorda che sua nonna faceva a piedi dal Viale Roma alle saline, che erano ancora più distanti della Camillone. Alla fine dell’intervista ci regala il libro Storia e cultura di una città salinara scritto insieme a Simona Medri e non vediamo l’ora di leggerlo per scoprire ancora di più sul mondo dei salinari.
Thomas Venturi e Irene Bagni
Interessantissimo l’ argomento , pur essendo romagnolo e della provincia di Ravenna,purtroppo non ho mai visitato le saline.