La liberazione di Cervia raccontata da due dei suoi protagonisti: Oberdan Guidazzi e Giovanni Giunchi.
Oberdan Guidazzi fu uno dei protagonisti della liberazione di Cervia, il 22 ottobre 1944, tra i primi ad arrivare con i soldati canadesi.
LA LIBERAZIONE DI CERVIA E I SUOI PROTAGONISTI
Quella mattina, ritenendo che i tedeschi avessero abbandonato Cervia, uscì di casa e si avviò verso Tagliata, raggiunse la statale e vide i primi militari. Si aggregò al gruppo e gli venne dato un moschetto tedesco. Giunsero alle macerie della porta Cesenatico (leggi qui la storia sull’abbattimento delle porte di Cervia). I canadesi aggirarono le macerie e, seguiti dai civili, imboccarono corso Mazzini.
IL RICORDO DI OBERDAN GUIDAZZI
“… Lo percorremmo tutto (corso Mazzini) tenendoci rasenti ai muri e arrivammo in piazza. Lì c’era già qualcuno, che ci accolse festosamente, mentre la campana del comune suonava, seguita da quella della chiesa. Io vidi mio babbo, i Boselli e Corsini arrivare dalla strada lungo il giardino Grazia Deledda e li salutai con un cenno festoso. In pochi minuti la piazza si riempì di gente che ballava e cantava Bandiera Rossa, l’Internazionale, Fratelli d’Italia e altre cante fino ad allora proibite”.
IL RICORDO DI GIOVANNI GIUNCHI
Dovettero passare ancora alcuni mesi per la definitiva fine della guerra ma un passo era stato fatto. Giovanni Giunchi, di qualche anno più giovane ricorda:
“Era una giornata di primavera e alle otto del mattino avevamo preso possesso del campanile che, da tempo, era divenuto la casa dei nostri giochi. Io, mio fratello Franco, Zimbo, Gigi Stagno, Alfonsino Braga, Ottaviano Ghiselli, eravamo saliti fino in cima, sicuri che qualcosa di importante stesse per accadere.
Già nella precedente serata, un bisbigliare continuo fra la gente e una visibile eccitazione, lasciavano presagire un evento meritevole di essere osservato al sicuro, dall’alto della nostra postazione.
Era abitudine, per fatti eccezionali, che le campane non dovessero suonare in modo tradizionale, cioè tirando dal basso le corde alle quali erano legate. In quelle occasioni, alcuni volenterosi salivano, per prendere possesso ognuno della propria campana e nel rispetto di un antico copione, percuotendo con forza e a tempo il battaglio, armonizzavano i rintocchi, ‘din don, din dan’, fin quasi a trasformare la cella campanaria in sala da concerto.
Da principio la piazza si animò, poi fu un vociare festoso al grido, ‘La guerra è finita! Libertà! Libertà!.
I nostri rintocchi riempivano di gioia l’aria, non ci eravamo fatti cogliere impreparati, anche se non comprendevamo sino in fondo il significato di quella festa. Poi arrivarono Gino e Paolo Guidazzi, i fratelli maggiori di Zimbo e Renzo Panzavolta, che con garbo, ci sfrattarono…”.
Franco Guidazzi