Il luna park di Cervia è nei ricordi di Paolo Maraldi e di quanti come lui hanno vissuto una Cervia diversa da quella di oggi. Leggiamo i suoi ricordi e immergiamoci in un’atmosfera da zucchero filato e papere (finte) catturate con orgoglio.
Tanti, tanti, decenni fa, su di un piazzale a lato del lungomare di Cervia, dove adesso c’è un piccolo parco urbano e due campi da tennis, fino agli anni cinquanta d’estate era occupato da un un luna park, molto assortito di stand, i baracconi come li chiamavamo noi. C’erano l’autoscontro, le giostre, il calcinculo, il tiro a segno con i gessetti tondi come bersaglio, oppure il tabellone coi vari livelli di bravura, e anche quello che se centravi il bersaglio ti scattava la foto, ma era quasi impossibile colpirlo, poiché il pallino andava per conto suo e non dove miravi tu, così per farti la foto dovevi sparare almeno un sacco di colpi, poi, lasciandoti credere di aver centrato il bersaglio, te la scattavano loro.
I GIOCHI DEI PICCOLI DEL LUNA PARK DI CERVIA
C’erano i giochi per i più piccoli, come la pesca delle papere. Queste papere, piccole e ovviamente finte, galleggiavano, e con una canna da pesca con una lenza con legato un anello, dovevi infilarlo nel collo della papera e pescarla. Premio: un pesce rosso che ti consegnavano in un sacchettino di plastica pieno d’acqua, o l’immancabile bambolina.
I premi potevano essere cumulativi e sommarli anche a quelli dei giorni futuri. Un altro gioco a premi, era quello degli anelli; compravi un certo numero di anelli di legno e il bersaglio era il collo di bottiglie di vino o di Vermout, e se lanciandoli ne infilavi almeno uno, vincevi quella bottiglia. Ce n’erano tanti altri di giochi, ma i pezzi da novanta del luna park di Cervia erano: la donna cannone, la donna barbuta, i nani saltimbanchi e il carrozzone con gli specchi deformanti.
Sembrava impossibile, ma tutte le volte che entravi, davi delle craniate da bernoccolo.
LA CORSA DEI CAVALLINI E LO SMERCIO ILLEGALE DELLE FICHES
Di giochi e baracconi ce n’erano tanti altri, ma vi parlerò solo di un altro, accompagnato da un breve aneddoto. Eravamo io e mio cugino Giorgio, abitavamo a poco più di cento metri, alla pensione Trieste, quindi tutte le sere eravamo lì, e il gioco che ci piaceva, era quello della corsa dei cavallini, naturalmente di plastica; era un piccolo ippodromo, circolare, con dieci piste, ognuna delle quali aveva sotto un meccanismo che faceva avanzare i Cavallini, ma era palese, che Galliano, il proprietario, faceva vincere chi voleva lui, ovviamente il cavallo meno puntato.
Il gioco funzionava così: ogni giocatore poteva scommettere sul cavallo che voleva e il premio, in caso di vincita, era una bottiglia di Vermout. Anche qui, volendo, ad ogni vincita potevi chiedere un buono per il cumulo e c’erano dei premi molto belli ma solitamente irraggiungibili.
Su un cavallino potevano esserci, per esempio, puntate dieci fiches, e sugli altri da zero o più. Le fiches le compravi da Galliano e costavano cinquanta lire l’una, e non erano altro che quelle fiches di plastica che si usavano in casa o nei bar quando si giocava a carte.
Quelle fiches in negozio costavano dieci lire, semplice; quei due birichini di Paolo e Giorgio avevano comprato tante fiches in negozio, poi in diversi bar avevano dato le nuove in cambio delle vecchie, e udite, udite, oltre che qualche volta giocare loro, le vendevano a un prezzo inferiore a quello di Galliano.
Naturalmente questo commercio, avveniva lontano dall’ippodromo e chi le voleva doveva comprarne qualcuna anche “legalmente”. Nel frattempo Galliano era un po’, anzi, tanto preoccupato, perché tutte le sere le sue fiches aumentavano e non riusciva a capire chi incolpare.
Una sera, che avevamo vinto una bottiglia di Vermout, decidemmo di berla, e ovviamente ci ubriacammo di brutto. Nausea, vomito, non riuscivamo a stare in piedi, e se riuscivamo ad alzarci, facevamo qualche metro barcollando, e poi di nuovo a terra.
Qualcuno, che evidentemente ci conosceva, andò ad avvertire mio babbo, che immediatamente con mia zia venne a prenderci. Una volta in piedi, videro, che avevamo le tasche dei pantaloncini rigonfie. Guardarono il contenuto e videro che erano piene di fiches, e non solo mia zia si incaricò di riportarle a Galliano, apostrofandolo di brutto, ma pretendeva il rimborso, minacciandolo addirittura di denunciarlo per essersi approfittato di due bambini. Naturalmente Galliano ha capito subito e ha spiegato chi era la vittima e chi eventualmente doveva essere rimborsato. Immaginate com’è andata a finire? Avete indovinato!
UN’AMICIZIA NATA DA UN IMBROGLIO
Galliano in seguito si è accasato con la moglie a Cervia e frequentava d’inverno il Circolo C.R.A.L. Dopo qualche anno, ho incominciato anch’io a frequentarlo, e la prima volta che mi ha visto, con un sorriso mi ha salutato dicendo “Ehi lazzarone, sei venuto a vedere se puoi imbrogliarmi anche qua?”.
In seguito, a tutti quelli che vedeva quando c’ero anch’io, raccontava, quasi con orgoglio, quel che gli avevo combinato e siamo poi diventati molto amici.
Il luna park di Cervia si è poi trasferito per qualche anno dietro lo stadio di Milano Marittima. Qualche volta ci sono andato con la mia ragazza, diventata poi la mia fidanzata, infine mia moglie.
Paolo Maraldi