Vi racconterò una storia che riguarda la nostra vecchia marineria che tanti, anche non più giovani, penso non ricordino. Fino agli anni ’50 circa, quando le barche erano a vela, le reti da pesca erano di cotone bianco ed erano fatte a mano dalle mogli o dalle figlie dei pescatori. Pochi i marinai che potevano permettersi di comperare della rete da pesca già fatta.

Amarcord le reti da pesca fatte a mano
Pescatori nel porto canale di Cervia

Le maglie delle reti avevano varie misure, come i relativi ferri da maglia. C’erano dei morelli rotondi fatti di legno lunghi circa 20cm con varie circonferenze, e con le linguette, aghi speciali di legno, che mani esperte costruivano e nelle quali avvolgevano il cotone che dovevano usare. A poco a poco che il cotone veniva usato, lo sfilavano dalla linguetta collegata a un gomitolo di cotone.

Terminate le pezze di varie misure e circonferenze delle maglie, i marinai le assemblavano e costruivano la rete, la “tartana” di solito, pronta per la pesca. Ne avevano diverse e ognuna serviva per determinati tipi di pesce. Quella con le maglie più piccole era quella per la pesca dei “Marsioni”. Una volta terminata la rete, arrivava il momento di tingerla, sia per togliere il bianco, sia perché, una volta tinto il cotone con cui erano confezionate, la rete diventava più resistente all’usura. Quando arrivava il giorno della tintura, c’era come una cerimonia, una festa.

Amarcord le reti da pesca fatte a mano
Il porto canale di Cervia negli anni ’50

La tinta si faceva così: prendevano quei grandi barili in metallo per il trasporto del petrolio, lo sistemavano su un tre piedi di ferro sotto il quale veniva acceso il fuoco. Vi versavano dell’acqua fino a metà o anche più, e quando l’acqua bolliva, versavano la tinta che consisteva in scorza di pino ridotta in polvere; costava molto e le colorava di marrone scuro. Quando l’acqua riprendeva a bollire, come in un rituale i marinai aiutavano il proprietario della rete a immergerla e tirarla fuori una volta terminato il tempo di immersione. La stendevano e nel frattempo aggiungevano dell’altra acqua, dell’altra tinta, e altri pescatori si aiutavano fra loro e ritingevano le proprie reti. Ho parlato di rituale perché quella era una festa a cui partecipavano anche le famiglie; stendevano qualche tovaglia, pane, fiaschi di vino, salame, qualcuna addetta alla griglia cucinava carne o pesce e la festa andava avanti fino all’esaurimento dei viveri e della tintura.

Oggi le reti sono fatte in nylon e di tutto questo che vi ho raccontato non rimane più niente; come quelle spose sempre vestite di nero, che dalla primavera si potevano vedere in certi vicoli marinari. Ricordi rimasti solo nella mente di qualche vecchietto.

Paolo Maraldi

Una risposta

  1. Mio papà Aristide a Chioggia aveva la tintoria per le reti ed era l’unica per tutta la marineria. Conservo ancora moreli e lenguete che usava per fare le reti e anche un “cao da cometare” perché faceva anche il cordaio. L’attività iniziò subito dopo la guerra ed è andata avanti fino al 1965. Oggi rimane il negozio di reti e corde per la pesca gestito da un capitano di l. c.

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